General Forum
Start a New Topic 
Author
Comment
lettera aperta da un compagno africano a Sel

Lettera aperta da un compagno africano a Sel

Gentili compagne e compagni di Sel,
chi vi scrive è un compagno africano senza nessun conflitto d’interessi nel suo paese, senza proprietà, senza ambizione a ricoprire incarichi dirigenziali o di altro genere. Sono un semplice cittadino che vuole raccontarvi il suo piccolo paese africano bersagliato dai potenti della terra perché colpevole di credere nell’autodeterminazione. Sono convinto che anche voi siate favorevoli all’autodeterminazione dei popoli. Alla fine di questa storia capirete il perché di questa lettera, abbiate solo la pazienza e la bontà di leggerla.
Da parecchi anni ormai il mio piccolo paese ha scelto di autodeterminarsi, di lottare per farcela da solo senza aspettarsi i cosiddetti aiuti umanitari che, in quasi un secolo, tanto “bene” non hanno portato all’Africa. Sostanzialmente, si rinunciava a mendicare il chilo di farina anche quando c’era la siccità o peggio ancora quando c’era la guerra.
L’autodeterminazione impressiona tutti specie quando si parla dell’Africa, suona come una rivoluzione, un fatto mai accaduto prima nella storia. Sappiamo tutti come vadano le cose laggiù: guerra, fame, miseria e malattie sono le prerogative africane, gli aiuti umanitari invece sono appannaggio dell’Occidente. Sembrano condanne destinate a restare tali per sempre, è nel dna dell’Africa chiedere aiuti e anche riceverli, e in quello dell’Occidente distribuirli. Guai a cambiare le regole del gioco.
Appunto il mio piccolo paese, fresco di Liberazione, decide di volersi affrancare da tutto ciò, di cambiare mentalità, vuole autodeterminarsi testardamente. Una vera rivoluzione quindi. E cosa fa per dar vita a questa rivoluzione? Ovviamente, via le Ngo e le Onlus, via i benefattori occidentali.
Via le Ngo? Ma questa è una bestemmia! Com’è possibile dal momento che l’Africa non può farne a meno? Eppure, in mezzo secolo il loro numero è incredibilmente aumentato ma stranamente sono aumentate anche le disgrazie sul territorio africano così che c’è sempre più bisogno di loro. Ma il mio piccolo paese vi rinunciò, rinunciò agli aiuti umanitari e iniziò ad educare la sua popolazione a non mendicare ma piuttosto a stringere la cinghia e a scavare la terra con le proprie unghie con l’unica idea fissa che nessuno debba tirarsi indietro. Tutti erano chiamati a ricostruire la devastazione che una guerra trentennale ci aveva lasciato in eredità. E a seguito del sacrificio di tutti, miracolosamente, arrivarono i risultati. Nel mio piccolo paese più nessun bambino moriva di fame anzi tutti andavano a scuola. Invece nel grande paese confinante, che aveva scelto il capitalismo sfrenato come ideale, nonostante tutti gli aiuti umanitari che ogni anno riceveva dall’Occidente continuavano a morire di fame migliaia di persone mentre i ricchi diventavano sempre più ricchi. Nel mio paese si costruivano dighe per trattenere quella poca acqua piovana, si costruivano cliniche per abbattere sia la mortalità infantile che quella legata al parto, si costruivano scuole ed università gratuite per tutti, consapevoli che l’istruzione era il nostro futuro.
Il mio piccolo paese era quasi riuscito ad affrancarsi dalle solite problematiche africane quando un grande paese occidentale prepotente, proveniente da molto lontano, per paura che potessimo essere da esempio ad altri paesi africani, decise di ostacolarci con tutti i mezzi a sua disposizione, mezzi purtroppo sconfinati.
Il paese prepotente era venuto per destabilizzare l’intero continente africano, promuovendo colpi di stato e guerre etniche e religiose, distribuendo armi potenti ai suoi alleati che cambiava ad ogni nuova luna. Era così prepotente perché era rimasto senza gli avversari degni della sua potenza che aveva avuto nel secolo passato. E dopo il suo intervento cosa è successo al mio piccolo paese che si voleva autodeterminare? Fu coinvolto in una nuova guerra contro il grande paese confinante e vecchio nemico che in precedenza lo aveva oppresso per quarant’anni e dal quale si era liberato versando molto sangue. Stavolta si trattava di una stupida guerra di confine. Lo stesso il mio piccolo paese resistette all’attacco impari, ottanta milioni di persone contro cinque milioni, tanto per darvi le dimensioni del conflitto. Dopo un paio di anni di atrocità gli arbitri del mondo decisero che il mio piccolo paese aveva ragione e ordinarono di firmare la fine della guerra. Il mio piccolo paese lo fece e anche il grande paese confinante stava firmando quando il paese prepotente lo consigliò del contrario e così rimasero ad occupare il nostro territorio. Passarono oltre dieci anni, anni di guerra fredda che esasperò l’animo di tutti rimasti a lungo all’erta affinché la guerra non ricominciasse.
Il paese prepotente riunì a sé tutte le Ngo, le Onlus dei diritti umani e i benefattori occidentali di ogni specie, precedentemente allontanati dal mio piccolo paese che voleva autodeterminarsi, e insieme cominciarono a costruire false informazioni per dividerci l’uno dall’altro, per infangarci agli occhi degli arbitri del mondo che in passato avevano deciso a nostro favore e convincere l’opinione pubblica che il nostro eroico leader fosse un dittatore molto cattivo. Il mio piccolo paese resistette a questa nuova guerra mediatica, ma presto i più giovani, stanchi della loro vita rimasta come sospesa, cominciarono ad abbandonare le trincee e a scappare nel grande paese confinante. Una volta fuori dal mio piccolo paese furono accolti e guidati dalle Ngo, dalle Onlus dei diritti umani e dai mass-media già appostati a strappargli dichiarazioni che servivano ad alimentare quel fuoco e a sbatterlo in prima pagina in tutto il mondo. E così, improvvisamente, il mio piccolo paese che voleva autodeterminarsi si ritrovò ad essere il paese più cattivo della terra e ripetutamente fu sanzionato dagli arbitri del mondo che prima avevano deciso in suo favore. Le Ngo e le Onlus dei diritti umani brindarono alla vendetta, a loro poco importava delle sanzioni che colpivano tutta la popolazione. E proprio così, da un giorno all’altro, si scoprì che nel mio piccolo paese non c’era più la libertà di stampa, la libertà di culto, la libertà di movimento, la libertà di respirare. Agli occhi di tutta l’opinione pubblica mondiale era diventato il paese più malvagio del mondo. Eppure da sempre l’opinione pubblica ha avuto esempi lampanti di questo sistema di demonizzazione di un paese e del suo leader, assistendo alla trasformazione di tanti paesi normali in veri inferni ma lo stesso aveva gioito dei tanti leaders caduti assieme alla pace del proprio popolo. Anche ora continuava ad essere così cieca da auspicare per il mio piccolo paese e per il suo eroico leader la stessa fine.
Lo stesso, caparbiamente, il mio paese era ancora deciso ad autodeterminarsi e la parola d’ordine fu: resistere, resistere, resistere! E resistette testardamente. I miei concittadini all’estero furono dichiarati colpevoli di aiutare il mio piccolo paese privandosi di una minima parte del proprio stipendio appunto per non mendicare dalle Ngo o dalle Onlus dei diritti umani. Ma nemmeno il paese occidentale prepotente desisteva però e perciò aveva ordinato a tutte le ambasciate del mondo di non concedere ai miei giovani concittadini visti né per il ricongiungimento familiare né tantomeno quelli turistici. Tutte le ambasciate del mondo obbedirono ai suoi diktat. E questa infausta decisione aveva il suo perché. Quasi tutte le famiglie del mio piccolo paese avevano parenti che lavoravano all’estero e che si sarebbero potuti permettere non solo di pagargli il biglietto aereo d’andata e ritorno ma addirittura avrebbero potuto mantenerli agli studi nelle migliori scuole occidentali. Dal momento che le vie legali erano state proibite chi si era stufato di resistere scappava dal mio piccolo paese e una volta fuori trovava tutto già organizzato, un vero percorso ad ostacoli mortali: deserto da attraversare, beduini da scampare, prigioni, torture, rapine e dopo il riscatto oneroso, li aspettava tanto mare da affrontare sui gommoni, il tutto per un prezzo dieci volte superiore a quello di un semplice biglietto aereo dove le hostess gli avrebbero anche servito pranzo e drink! E se annegavano in quel maledetto mare, tanto meglio, i mass-media, le Ngo e le Onlus dei diritti umani sarebbero stati lì pronti a mostrarlo al mondo intero. Non aspettavano altro che di strappare ai sopravvissuti notizie del loro sanguinario dittatore e dell’inferno da cui erano fuggiti. Molti soccorsi in mare sono stati gestiti con un telefono satellitare in mano ad un misterioso Don del Vaticano anche lui titolare di una Onlus. Il servizio è pronto, l’opinione pubblica diventa più unanime che mai: bombardate quel dittatore! Al suo posto metteteci un altro, come avete fatto “benissimo” altrove.
Di seguito le Ngo, le Onlus dei diritti umani e i mass-media assieme al grande paese confinante e tutti capeggiati dal grande paese prepotente avrebbero organizzato una serie di sfilate per i rifugiati del mio piccolo paese facendo in modo di rivoltarli contro i loro stessi compagni in una guerra fratricida. Il piccolo paese però, più testardo di tutti, nonostante le molte sconfitte mediatiche resisterà fino alla vittoria finale, perché come dice un proverbio: il bastone della verità può assottigliarsi ma non rompersi.
Cari compagni e compagne di Sel, ho voluto raccontarvi questa storia sull’Eritrea per riassumervi le battaglie degli ultimi due decenni che abbiamo dovuto affrontare nostro malgrado e che ancora continuiamo a subire. In Italia le false notizie sul mio paese vengono diffuse da giornalisti come Massimo Alberizzi, Paolo Lambruschi, Emilio Drudi, Fabrizio Gatti ed altri signori mai stati in Eritrea mentre personaggi come Dania Avallone, la Madre Teresa “de noantri”, si chiamano fuori dalla precarietà italica creandosi appositamente delle Onlus che “tutelano i diritti umani del popolo eritreo” ed intanto formano gruppi di dissidenti come “Eritrea Democratica" con la complicità dell’Etiopia e dell’America.
E ora, cari compagni, vengo al motivo per cui mi sono sentito in dovere di scrivervi: queste false e subdole informazioni diffuse appunto dai loro potenti mezzi di comunicazione hanno condizionato i “compagni” di Sel come il consigliere Cathy La Torre e l’On. Arturo Scotto che si è addirittura sentito in dovere di fare un’interrogazione parlamentare sul Festival eritreo di Bologna dove gli eritrei si sono radunati semplicemente per omaggiare Bologna grati e riconoscenti alla città simbolo della nostra lotta di Liberazione e della nostra resistenza. Cathy la Torre e Arturo Scotto avrebbero dovuto, secondo me, informarsi meglio sulla storia dell’Eritrea e sui suoi cosiddetti oppositori. Se fosse dipeso da loro compiere le scelte politiche del vs partito, per la loro ignoranza, si sarebbero alleati con Alba Dorata piuttosto che con Tsipras.
Compagni e compagne di SEL, ringraziandovi per l’attenzione, vi saluto come si fa nel mio piccolo paese: pugno chiuso alzato al grido di: “Awet n’hafash! Vittoria al popolo!”

Daniel Wedi Korbaria

Re: lettera aperta da un compagno africano a Sel

Purtroppo o per fortuna tu non sei di Corbaria,ti sarebbe bastato ricordare Yohannes Subhatu aka Brain, per impedirti di scrivere cose ridicole.
A.T.

Re: lettera aperta da un compagno africano a Sel

Lettera aperta da un compagno africano a Sel è stata inviata a:

Nichy Vendola, Sel nazionale, Paolo Ferrero, Ufficio stampa Rifondazione, Tg3, Michele Santoro (Servizio pubblico), Peter Gomez (Il fatto quotidiano), Vittorio Zucconi (la Repubblica), Cécile Kyenge, Matteo Renzi (segretario PD), Massimo D'Alema, Fausto Bertinotti, Beppe Grillo, Sindaco di Bologna Merola, Vicesindaco di Bologna Giannini, Vauro, Arturo Scotto, Cathy La Torre, Fabrizio Gatti, e alle redazioni de: Il manifesto, L’Unità, La Repubblica, Il Corriere della sera.

Al momento nessuna risposta...
Daniel Wedi Korbaria

Re: lettera aperta da un compagno africano a Sel

Condivido il tutto caro Daniel e mi unisco alla vostra battaglia..Resistere contro ogni tipo di ostilità.

Awet Ne Haffash