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Eritrei rapiti da predoni nel Sinai.

http://guerrecontro.altervista.org/blog/?p=5820

Gli eritrei segregati nel Sinai sono nelle mani di Abu Khaled
13 dicembre 2010

I 250 profughi eritrei prigionieri dei trafficanti al confine tra l’Egitto e il Sinai sarebbero in mano di Abu Khaled, noto alla polizia egiziana per traffico d’armi e di esseri umani. Oltre ad Abu Khaled, sarebbero coinvolti un altro trafficante, Abu Ahmed e un uomo di origine eritrea, Wedi Koneriel, che ha avuto il compito di avvicinare e rassicurare i profughi per condurli poi nelle mani dei loro aguzzini.

Da una ong con base al Cairo, è arrivata la notizia che molte donne sono state stuprate ripetutamente dai loro carcerieri davanti ai compagni di prigionia, ma la cosa più preoccupante è che un centinaio di prigionieri sembra siano stati separati dal gruppo e portati via, non si sa dove, e che la loro sorte possa essere quella di “donatori” di organi, una delle “specialità” di Abu Khaled.

Il traffico di esseri umani è un business da cui i trafficanti traggono milioni di dollari ogni ‘anno. “Nel Sinai, è presente una rete forte e ben strutturata. Andando a leggere i giornali locali, si scopre che lo scorso anno sono spariti nel nulla centinaia di migranti. Probabilmente sono finiti nel mercato degli organi”, spiega Malini, il co-presidente del Gruppo EveryOne.

Fino ad ora i contatti con gli africani in prigionia, sono stati tenuti da un sacerdote eritreo, Mussie Zerai, che dirige l’agenzia Habeshia, anche perché i sequestratori hanno invitato i sequestrati a contattare qualcuno, in particolare le loro famiglie, affinchè pagassero un riscatto per il loro rilascio.

Dalle ultime telefonate con il sacerdote, emerge che la situazione sul posto si sta facendo ogni giorno più complicata. Probabilmente i sequestratori si sentono sotto pressione e i sequestrati temono di poter essere ulteriormente divisi e trasportati altrove.

E dire che EveryOne e Habeshia, insieme ad altre associazioni, si erano premurate la settimana scorsa di sporgere una formale denuncia alle autorità egiziane presso l’ufficio del Procuratore generale del Cairo, Maher Abd al-Wahid , includendo tutti i dettagli e le informazioni in loro possesso: i telefoni cellulari dei trafficanti, la posizione esatta dei prigionieri detenuti, le condizioni drammatiche che i migranti stanno vivendo; la dinamica del delitti già commessi; i contatti locali per raggiungere la città dei beduini, e i nomi di due delle loro guardie carcerarie.

Ma inspiegabilmente ancora non è stato fatto niente. Domenica, EveryOne ha dato notizia che due preti cristiano ortodossi sono stati uccisi dalla banda di Abu Khaled, probabilmente perché sospettati di essersi attivati per la localizzazione della banda.

Personalmente mi riesce difficile comprendere come mai le autorità egiziane non siano ancora intervenute: se il problema è legato ad una mancanza improbabile di mezzi oppure, ipotesi più plausibile, a una forma di complicità con le bande criminali che operano nella zona.

Ma anche nell’ipotesi che questa vicenda domani si concluda positivamente con la liberazione dei prigionieri le autorità egiziane in questi casi procedono all’arresto dei profughi con l’accusa di immigrazione clandestina, procedendo in un secondo momento alla loro deportazione nei paesi di origine, dove vengono in alcuni casi impiegati in campi di lavoro forzato.

L’Egitto, che ha differenza della Libia, ha sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, la quale prevede la protezione internazionale per coloro che fuggono da crisi umanitarie, di fatto poi si comporta con le stesse modalità del governo di Gheddafi.

Sta di fatto che sembra sempre di più di assistere ad un romanzo dell’ottocento, con loschi figuri che, nel III Millenio, vivono e prosperano ancora di più grazie ad accordi come quelli tra Italia-Libia, grazie a paesi finto democratici come l’Egitto di Mubarak, grazie ad un’occidente “illuminato” che gira la testa dall’altra parte e fa finta di non vedere.