Eritrea Eritrea
L'idea è quella di inviare vestiti (sia nuovi che usati ma in buono stato) e scampoli di tessuti. Il materiale, donato da parenti, amici e conoscenti servirebbe ad alcuni nostri amici eritrei per avviare un piccolo negozio, gestito diciamo in forma cooperativa dalle donne del luogo, le quali si occuperebbero di attività di sartoria e di vendita, dividendosi poi il ricavato.
Puo' essere un (piccolo) modo per contribuire al sostentamento dell'economia familiare, prima cellula dell'economia nazionale.
Ora mi chiedo, è realizzabile tutto ciò? Visto che le dimensioni di un container sono decisamente sproporzionate, inviare materiale per aereo, ha costi proibitivi? Cosa succede alla dogana eritrea? Che pratiche burocratiche si devono fare? E' possibile una libera iniziativa o è tutto statalizzato.
Grazie mille a tutti quanti vorranno contribuire.
In Eritrea attività simili sono molto comuni grazie anche alla notevole abilità manuale dimostrata dagli eritrei e alla presenza nel paese di un notevolissimo numero di macchine da cucire.
Spesso queste attività sono gestite da religiosi che traggono poi dalle vendite dei prodotti finali i fondi per le piccole doti destinate, dopo un percorso di assistenza e istruzione, all’inserimento nella vita sociale delle stesse ragazze artigiane.
Per aprire una attività privata di questo genere in Eritrea occorre presentare domanda di licenza presso le autorità competenti e ottenere la autorizzazione all’eventuale importazione di macchinari o merci destinate all’esercizio della attività prescelta.
La dogana funziona come tutte le dogane richiedendo il pagamento di una tassa secondo una apposita tabella merceologica, mentre per informazioni aggiornate su spedizione, relativi costi e pratiche doganali dall’Italia, ci si può rivolgere a una delle agenzie specializzate (per un indirizzo su Roma contattarmi via posta elettronica).
Stefano Pettini
C'e da fare attenzione prima di investire il proprio denaro ed il proprio tempo in Eritrea perché attualmente NON esiste una vera e propria legge applicata uniformemente bensì tutto è basato su usi e comportamenti consuetudinari delle autorità oltre che accordi bi-partisan fatti con il governo. Dunque oltre al rischio d'impresa normalmente presente in qualsiasi nuova attività economica va considerato anche il rischio di vedersi portar via (confiscare) la propria attività sulla base del nulla.
Devo però dire che qualche imprenditore straniero (lasciando perdere i cinesi) c'è. Esempio la fabbrica di vestiti italiana "Dolce Vita". Più dettagliatamente so che sono stati fatti accordi con la Regione Lombardia e con la Regione Toscana, Potresti sentire gli uffici regionali per il commercio se ti danno qualche dritta.
Come però ho scritto bisogna prestare attenzione alla mutevole politica governativa e ad azioni autoritarie non giustificate sulla base della legge.
Franco ha chiesto informazioni circa l’avvio di una piccola attività, destinata ad essere gestita da eritrei, dello stesso tipo e dimensione di tantissime altre gia avviate ovunque nel paese con problematiche e rischi non diversi da quelli di qualunque altra nazione.
Una importante differenza poteva esserci qualora la tipologia della attività avesse richiesto frequenti acquisti di materia prima dall’estero con la conseguente necessità di disporre di valuta pregiata non ottenibile in Eritrea, ma nel progetto di Franco questo aspetto è evidentemente ininfluente.
Va sottolineato che le autorità sono intransigenti circa le violazioni valutarie e non sono affatto inclini ad accettare i mezzucci o i trucchetti ai quali siamo abituati in Italia, con la conseguenza di incorrere in confische e sequestri alla base dei quali non c’è l’arbitrio irrazionale, ma motivazioni oggettive.
I referenti per questo tipo iniziative non possono che trovarsi in Eritrea a disposizione di qualunque cittadino.
Molto diversa la situazione dei piccoli o grandi imprenditori esteri i quali sono soggetti a diverse procedure e inquadrati in un meccanismo totalmente differente che ha il suo punto di forza nella recente introduzione delle cosiddette Free Zone meglio descritte nella sezione del sito dedicata all’imprenditoria in Eritrea.
Ma questo nulla ha a che fare con il quesito e le esigenze di Franco.
Il caso citato da Patience è invece del tutto particolare perché si riferisce alle attività nel settore tessile dell’imprenditore italiano Giancarlo Zambaiti pioniere con il figlio Pietro dell’imprenditoria estera in Eritrea; il negozio “Dolce vita” è solo un nuovo punto vendita nel centro di Asmara, ma il vero cuore pulsante della attività della Za.Er. è nel grande stabilimento industriale dove si realizzano filati, tessuti, camicie e una grande varietà di altri prodotti che vengono esportati in Italia, in mezza Africa e altrove nel mondo.
Stefano Pettini
Sì, però la verità gliela devi dire tutta!
Sennò loro vanno là, con una buona iniziativa, magari un piccolo sogno e un po' di soldi da investire e si ritrovano con l'attività confiscata ( di chi sia se di un eritreo o un italiano poco importa) solo perché un giorno il funzionario di turno si è deciso così. Di casi ne ho visti molti Stefano, e ti garantisco che nessuno di loro usava "mezzucci poco puliti". Tutti facevano il loro onesto e faticavano dal mattino alla sera.
Per quello che ho potuto capire Franco ha intenzione di offrire il proprio contributo a favore di persone che si trovano in Eritrea e quindi perfettamente in grado di destreggiarsi nelle normali difficoltà che si incontrano ovunque in questo tipo di circostanze.
Trovo perfettamente inutile avanzare ipotesi pretestuose relative a eventuali possibili problematiche
quando nella stragrande maggioranza dei casi le cose vanno a buon fine seppur fra lungaggini burocratiche e tempistiche africane.
Conosco moltissime persone che nel tempo in Eritrea hanno avviato attività di ogni genere, alcune fortunate altre meno, altre ancora fallimentari, ma in generale posso asserire che tutto dipende dalla capacità e dalla determinazione individuale e non certo dalle vessazioni governative.
Una delle ragioni alla base del recente conflitto Etiopico-Eritreo è proprio quella del grande talento imprenditoriale e commerciale degli eritrei che indispettì non poco le lobbies etiopiche che trovavano inaccettabile che i loro vicini riuscissero a trarre benefici economici tanto rilevanti dagli scambi di merci di provenienza etiopica.
Il commercio e l’imprenditoria in Eritrea sono da sempre considerati vitali per l’economia e quindi tutelati e rispettati, anche se ultimamente la attenzione del governo è maggiormente rivolta alla agricoltura come garanzia di sicurezza alimentare.
Stefano Pettini
Chiamale normali difficoltà...Io direi statalizzazione forzata delle attività economiche.
Comunque io consiglio a Franco di provare anche a chiedere all'Ambasciata italiana ad Asmara. Se telefoni con Skype spendi poco e peraltro, con me, sono stati molto gentili. Comunque ti confermeranno quello che ho scritto in precedenza.
Meglio non generalizzare, ma chiamare le cose con il proprio nome.
Una delle prime iniziative del Derg di Menghistu Haile Mariam fu quella di statalizzare le imprese eritree, che allora erano prevalentemente italiane, provocando il crollo di una economia che fino ad allora aveva retto ai durissimi colpi del forzato trapasso della amministrazione italiana a favore di quella inglese, dell’avvento della Federazione con l’Etiopia e addirittura il successivo assorbimento dell’Eritrea che venne trasformata da Haile Sellasie, in violazione di tutti i trattati, in semplice provincia etiopica.
La moderna Eritrea conosce bene il valore della libera impresa grazie alla quale negli anni immediatamente successivi alla liberazione e indipendenza aveva visto innalzare il proprio Pil a un ritmo mai visto prima in Africa.
I programmi economici adottati dal governo eritreo erano considerati un esempio da imitare e il paese si avviava ad assumere il ruolo di Svizzera del Corno d’Africa lasciando presagire un importante cambio di tendenza nelle sorti dei paesi africani emergenti che da sempre parevano segnate.
La grande euforia dei primi anni del dopo indipendenza era però purtroppo destinata a spengersi soffocata dai venti di guerra che soffiavano dall’Etiopia, modificando ancora una volta profondamente l’assetto economico dell’Eritrea costretta a rivedere tutti i suoi programmi di sviluppo ed emancipazione.
Da allora nulla è stato più come prima e quello che sembrava un incubo lontano, la certezza della sufficienza alimentare, è diventata una priorità nazionale a scapito di altri settori dell’economia.
Il centro nodale è la valuta pregiata indispensabile per le transazioni internazionali; i commercianti e imprenditori ne vorrebbero a sufficienza per incrementare il proprio giro di affari, ma il governo dà priorità alle spese socialmente indispensabili come petrolio e derivati per produzione di energia elettrica e autotrazione pubblica, generi alimentari, cemento e ferro per dighe e canali, prodotti per l’agricoltura ecc.
Quello che Patience impropriamente chiama “statalizzazione” è molto più banalmente la regolamentazione secondo la quale una ampia gamma di prodotti non possono essere acquistati direttamente all’estero dagli imprenditori e commercianti, ma dal governo che si pone come intermediario e ammortizzatore sociale.
Ovviamente commercianti e imprenditori in Eritrea come in qualunque altra parte del mondo sono geneticamente restii ad accettare qualunque tipo di limitazione e regolamentazione di quella che loro considerano un’arte che non può in alcun modo essere gestita se non in assoluta libertà.
Purtroppo la stato di “non pace non guerra” in cui versa l’Eritrea e la delicata alchimia che è alla base della attuale situazione economica del paese non consentono in questo periodo quel tipo di disinvoltura.
L’approccio delle autorità diplomatiche italiane alla questione eritrea è da molti giudicata assolutamente non condivisibile e non rispettosa degli antichi legami storico culturali con il paese; la ambasciata italiana in Asmara in linea con questa tendenza sembra assecondare questo atteggiamento di sfiducia e pessimismo generalizzati nei confronti dell’Eritrea e quindi di scarsa utilità nell'approccio a queste iniziative.
Torno a dire però ancora una volta che il caso di Franco è diverso e che ad essere competenti non sono le autorità italiane, ma quelle eritree.
Stefano Pettini
Mi spiace aver creato una diatriba tra voi due. Mi consola il fatto che anche nell'altro forum... :-)
Evidentemente partite da punti di vista molto distanti. Patience vede tutto nero, Stefano è un po' troppo ottimista.
Possibile caro Patience che il governo non abbia proprio fatto nulla di positivo?
Possibile caro Stefano che il governo non abbia proprio fatto nulla di negativo?
Sembrano proprio le discussioni sul governo Italiano...
Vi ringrazio comunque entrambi poichè dalla contrapposizione di diversi punti di vista, anche se non si vede, la realtà la si può intuire.
Personalmente l'intenzione non è tanto quella di avviare un'attività imprenditoriale. Se così fosse sicuramente andrei in qualche altro stato: l'idea di
soggiacere ad una "regolamentazione secondo la quale una ampia gamma di prodotti non possono essere acquistati direttamente all’estero dagli imprenditori e commercianti, ma dal governo che si pone come intermediario" certamente non mi entusiasma.
L'idea è solo quella di spedire (gratuitamente) del materiale affinchè chi lo riceve possa lavorarlo, rivenderlo e guadagnarci, per sostenere la piccola cerchia di famiglie che si adoperano per questa attività.
Tutto qui.
Non è quindi l'assistenzialismo di cui ho letto nell'altra discussione, quando si ipotizzava un mero aiuto economico, ma un modo per aiutare facendo sentire utile il destinatario.
Mi sono quindi posto il problema di tariffe aeree, di possibili sequestri doganali, di dazi doganali, di imposte che chi vende poi dovrà pagare.
Mi chiedo anche (e vi chiedo). Esiste una legislazione sociale? Per un dipendente si devono pagare i contributi per la pensione oppure lo si prende, si paga lo stipendio e basta?
Grazie ancora e a presto
Caro Franco,
la tua idea è molto nobile e degna di avere i più forti appoggi! Chi ti scrive ha avuto esattamente i tuoi stessi desideri ed obiettivi e cercato le soluzioni più diverse per realizzarle...purtroppo oggi come oggi in Eritrea molta gente sta molto male; ed il governo ottuso, testardo e repressore, preferisce perseguire le sue idee sostenendo costi umani e sociali elevati. Quindi, seppur incoraggiandoti nelle tue idee, ho paura che scoprirai esattamente quello che ho visto io, che anche Stefano conosce ma che non vuole dire.
Il motivo di questa politica governativa, a dire il vero, non so se sia la stupidità e testardaggine fatta persona oppure, come sempre più spesso si sente dire dagli Eritrei scappati, l'opportunismo di un presidente senza scrupoli che accumula ricchezze e finanzia gruppi a lui amici all'estero (Etiopia e Somalia) lasciando il suo popolo allo sbando!
Comunque ti dico che: per quello che ne so io in Eritrea non esiste pensione di anzianità quindi i contributi sociali non vengono pagati. Esiste però la liquidazione (quello che noi chiamiamo TFR).
Caro Franco non sono riuscito a capire a quale altro Forum ti riferissi comunque a questo punto credo che per chiarirti definitivamente le idee dovresti sentire il parere di quei tuoi amici eritrei ai quali vorresti generosamente offrire il tuo contributo poiché anche loro avranno avuto modo di saggiare un po’ il terreno e probabilmente sapranno darti delle indicazioni dal tuo punto di vista più credibili.
Vorrei comunque evitare ogni malinteso specificando che gli imprenditori stranieri non avendo problemi di valuta pregiata non avrebbero alcuna limitazione nell’esercizio delle loro attività che peraltro se impiantate a Massaua beneficerebbero anche della condizione di Porto Franco.
L’ottimismo poi per quello che mi riguarda non è mai troppo e se Patience vede tutto nero non posso che pensare che avrà certamente le sue buone ragioni cosi come io ho le mie; quello che trovo inspiegabile è perché invece di offrire il suo contributo documentato e propositivo, insista con i soliti argomenti di puerile taglio antigovernativo che oramai non fanno più ne ridere ne piangere nessuno.
Stefano Pettini
Grazie ad entrambi.
Stefano, ho usato una errata terminologia: "forum" anzichè "subject". Intendevo solo dire che non sono stato io la causa scatenante della vostra diatriba, poichè già in "grazie isaias" manifestavate divergenze di opinioni. Tutto qui.